Qualsiasi tentativo di definizione del Metodo Feldenkrais risulta spesso come una descrizione statica di un metodo che è invece estremamente fluido e dinamico. Una “pratica” soggetta a continua evoluzione in funzione della nostra stessa crescita ed evoluzione personale. Come dare movimento alle intenzioni è la sintesi di questa arte.
Moshe Feldenkrais ha scritto in Higher Judo: “In un corpo perfettamente maturato, cresciuto senza grossi disturbi emotivi, i movimenti tendono a conformarsi gradualmente alle esigenze meccaniche del mondo circostante. Il sistema nervoso si è evoluto sotto l’influenza di queste leggi e vi si è adattato. Tuttavia, nella nostra società, in seguito alle promessa di premi, ricompense o duri castighi, distorciamo a tal punto il regolare sviluppo del sistema che molte azioni vengono eliminate o ridotte. Una conseguenza di tutto ciò è che bisogna creare delle condizioni particolari per favorire la maturazione adulta di molte delle funzioni rimaste bloccate. Alla maggior parte delle persone non solo vanno insegnati specifici movimenti che fanno parte del nostro repertorio, ma si deve insegnare loro inoltre come ri-formare schemi motori e atteggiamenti che purtroppo sono stati esclusi o trascurati”.
Il Metodo Feldenkrais parte dal presupposto che gli esseri umani hanno un potenziale di trasformazione. Tutte le persone, indipendentemente dall’età, condizioni fisiche o altro, possiedono la capacità di imparare.
Vedi anche il mio articolo su Metodo Feldenkrais come educazione neuromotoria.
Il Metodo Feldenkrais è un sistema di educazione che sviluppa la consapevolezza di sé e dell’ambiente. Il metodo parte dall’assunto che il corpo in movimento è lo strumento principale dell’apprendimento.
Questo lavoro ti permette di espandere il repertorio di movimenti, di accrescere la consapevolezza, migliorare le funzioni. Ti consente di esprimere pienamente te stesso/a.
Avete mai visto le opere di Michelangelo? Ho scelto come immagine per questo articolo lo “Schiavo detto Atlante”, una della quattro figure de “I Prigioni” di Michelangelo. Secondo me in questa figura, più che nelle altre, è evidente il senso di energia compressa, che sembra esplodere dal marmo.
I Prigioni, tra le opere che ho visto, mi hanno molto colpito e mi rimane ancora oggi la sensazione provata in quell’occasione, quella di aver sentito la mia energia compressa.
Michelangelo era fermamente convinto che lo scultore fosse uno strumento di Dio, il cui compito era quello di liberare le figure già contenute nella pietra, sbozzando la materia con vigore per liberare il soggetto in tutta la sua energia. Le quattro sculture sono volutamente incomplete per comunicare uno dei temi più profondi e cari all’artista: quello dell’imperfezione dell’essere umano. Proprio lo stato non-finito è all’origine della straordinaria energia che emana la figura mentre tenta di liberarsi dalla pietra grezza.
Traspare un senso di tensione, di movimento impresso dalle torsioni dei corpi. Questa lotta esprime per Michelangelo una sorta di analogia simbolica fra la figura che tenta di fuoriuscire dal marmo e lo spirito umano che cerca di liberarsi dalla carne per anelare a Dio, unica fonte di perfezione.
Ho scritto questo perché vorrei azzardare un’analogia tra l’arte e l’educazione, tra la scultura come nel caso di Michelangelo e il sistema di educazione del Metodo Feldenkrais. Vasari descrive in modo affascinante come Michelangelo cercasse di “far emergere la figura dalla pietra come se la si vedesse affiorare da uno specchio d’acqua”.
L’insegnate Feldenkrais si adopera per creare le condizioni che facilitano l’apprendimento. Questo avviene innanzitutto attraverso l’accettazione dell’altro nella sua diversità, nel suo essere in-completo e in-perfetto, ma tendente al completamento, desideroso di scoprirsi e di evolvere. Non è terapia, è arte o piuttosto terapia che si fa arte. Così mi piace definire il mio lavoro.
Nella pratica questa arte consiste nell’organizzare sequenze di movimenti intorno a un tema, un’azione funzionale, al fine di creare una esperienza di apprendimento che aiuti l’allievo a completare ciò che è carente o non sufficientemente sviluppato nella sua auto-immagine. Si recuperano schemi di movimento prima esclusi e non considerati in modo da migliorare l’azione e da espandere l’auto-immagine. Si impara ad usare più parti di sé, alcune dimenticate, in ogni movimento.
Non c’è nessun obiettivo da raggiungere in questo lavoro, piuttosto si tratta di una esperienza piacevole attraverso la quale si impara che quando tutto il corpo coopera in ogni movimento questo aiuta a vivere la vita in modo più pieno, efficiente e confortevole. In questo senso la pratica “fa emergere” le potenzialità latenti.
Da parte mia, come insegnante Feldenkrais, cerco di sentire e far capire all’altro, a partire da quello che è il suo attuale schema organizzativo, la direzione verso cui potrebbe andare.
Insieme ci muoviamo, in un processo di apprendimento e di azione, verso una espansione delle capacità e reciproco arricchimento.